
La mia parola dell’anno 2018
Nei due anni passati, ho sempre scelto parole di azione che esortavano in qualche modo al movimento. Nel 2016 è stata ARROW, come un’arciere con la sua freccia, concentrata e focalizzata, pronta a colpire nel segno; nel 2017 invece è toccato a FIERCE, istintiva, impetuosa come un fiume in piena, coraggiosa, libera di sperimentare senza mai piegarmi o abbattermi.
Quest’anno però sentivo davvero il bisogno di una parola più introspettiva, riflessiva e meno votata all’azione. Per questo la mia parola di partenza era FLOW. In questo, credo di essere stata fortemente motivata dal lavoro di Cristina, Atelier sul Brenta e dalla sua condivisione di una frase di Virgina Woolf, una delle sue scrittrici preferite: “I’m rooted but I flow“. Ed era esattamente così che avevo in mente di sentirmi: radicata in ciò in cui credo, nei miei sentimenti, nel mio modo di essere, ma libera di scorrere come l’acqua di un fiume, senza sosta, trovando sempre una via d’uscita, abbattendo e aggirando gli ostacoli e erodendo lentamente il terreno a mio piacimento nella metafora di ottenere risultati e gratificazione.
Bello, eh?
Sono partita prima delle vacanze di Natale convinta di aver avuto un’illuminazione. Ero talmente sicura che questa sarebbe stata la mia parola che mi era anche passata per la testa l’idea di bypassare i miei soliti esercizi annuali che mi avrebbero aiutato a focalizzare meglio i pensieri e le intenzioni.
Poi è successo che mi sono ordinata su Amazon un libricino di illustrazioni sull’intraducibilità di alcune parole in giro per il mondo e sfogliandolo mi sono resa conto della necessità di dover rimettere tutto in gioco.
Con questa nuova parola in testa, sono rientrata a casa, ho tirato fuori il workbook di Susannah Conway e mi sono messa diligentemente a fare tutti gli esercizi. Ho fatto ricerca sul significato della parola e pinnato bacheche e foto su Pinterest come una forsennata ed è venuto fuori che quella parola trovata per caso su quell’adorabile libricino, non solo racchiude il senso di “flow” ma tantissime altre sfumature, sensazioni, colori, emozioni che si sposano perfettamente con tutto il mio lavoro e con ciò che voglio proiettare nel nuovo anno.
Rullo di tamburi… si tratta di WABI-SABI, siore e siori. E no, ve lo dico, non si mangia e non lo potete ordinare al all you can it insieme ai california roll.
Wabi-sabi è una parola giapponese che deriva dagli insegnamenti zen e indica un concetto, un valore, una visione del mondo incentrata sulla ricerca della bellezza nelle imperfezioni e nell’incompletezza. E’ accettazione della transitorietà e dell’asimmetria delle nostre vite nel segno di un’esistenza più appagante seppur modesta.
Questo è semplicemente il riassunto, la realtà è che wabi-sabi racchiude in sè un intero mondo di affermazioni.
Ha origine nel quindicesimo secolo e nasce come una sorta di rivoluzione nelle cerimonie del tè: non più ceramiche e utensili importati, belli, puliti e laccati ma esteticamente più sobri, fatti a mano e di provenienza locale.
Wabi-sabi celebra le crepe, le fessure e i segni del tempo, le cicatrici, il disordine e i fallimenti. E’ destinato ad invecchiare, è pulito, autentico, calmo, intuitivo, ruvido e arrugginito. E’ variabile e ciclico e si adatta alla natura e alla sua stagionalità. E’ scuro ed offuscato ma allo stesso tempo caldo. E’ incompleto e risiede nel fascino delle cose non convenzionali. E’ la bellezza spontanea e non dichiarata che aspetta pazientemente di essere scoperta ma allo stesso tempo non è ferma, scorre e vive. Wabi-sabi si scontra con l’impulso incessante dell’auto-miglioramento a favore della semplicità che si rivela da sola quando viene animata dal lavoro quotidiano. E’ come una tazza di ceramica rotta e riparata con l’oro attraverso la tecnica giapponese dello kintsugi: il difetto rimane visibile ed è considerato un segno di bellezza che si aggiunge alla sua storia rendendolo un pezzo unico. E’ un fiore di loto che cresce ed è a suo agio nel fango. E’ essere presente qui ed ora. E’ come le foglie di tè che semplicemente lasciate libere di galleggiare nell’acqua bollente, creano un’alchimia.
Per questo 2018 mi auguro di essere così, wabi-sabi, di scorrere senza fatica, di raggiungere i miei obiettivi e sentirmi gratificata e appagata per e di quello che ho, di mostrarmi imperfetta in tutte le mie contraddizioni e insicurezze e allo stesso tempo inarrestabile, di continuare a sentirmi meravigliosamente caotica, ruvida e stropicciata eppure centrata e felice.

E voi? A che punto siete con la vostra parola dell’anno? Ne avete già trovata una?
Spero di avervi dato nuovi stimoli così che possiate raccontarmi anche voi la VOSTRA STORIA.
Vi abbraccio!
M.

